E' già passato un anno, da quel giorno in cui la metropolitana di Roma si è tirata sotto l'amico Giampiero.

Proprio qualche giorno fa, per combinazione, mi sono trovato a passare proprio lì: la stazione Garbatella della linea B.

Il tempo sembra essersi portato via ogni traccia di quanto è successo. Fino a qualche mese fa, ancora si vedevano, tra i binari, i residui della calce che era stata sparsa nel punto dell'incidente. Ora sono quasi del tutto scomparsi.

Rimane però indelebile il ricordo di Giampiero, che conobbi nel 1996 quando ancora frequentavo la sezione romana dell'Unione Italiana Ciechi, illudendomi di fare del volontariato.

Nel 1997 partecipammo insieme ad un gruppo di lavoro, per un vano tentativo di realizzare una certa iniziativa in quell'ambiente.

Negli anni successivi, l'ho incontrato più raramente. Però lo tenevo sempre presente come modello da indicare ai non vedenti che volevano cimentarsi nel camminare autonomamente per la città. Lui, in questo, era indiscutibilmente uno dei migliori.

Una volta mi trovai ad assistere ad una sua conversazione con una giovane non vedente che gli chiedeva consiglio. Ricordo che lui rispose pressappoco così:

"Innanzi tutto, camminare ti deve piacere. Se senti che ti piace, che ti dà soddisfazione, allora prova e riprova a farlo finché non avrai imparato. Altrimenti, significa che non è per te."

Temo che sia stato proprio l'eccesso di abitudine e di disinvoltura nel camminare che l'abbia indotto a commettere l'errore fatale di cadere tra due vagoni, pensando che quello spazio vuoto fosse una porta. Forse un'altro meno esperto e più timoroso ci avrebbe pensato bene prima di fare quel passo, sarebbe stato più attento nel tastare bene il fondo con il bastone.

Qualcosa ho trovato di cambiato nella stazione Garbatella: adesso ci sono, nei pavimenti, i percorsi tattili, che allora mancavano. In particolare, la vecchia striscia gialla che delimitava il termine della banchina è stata sostituita con un segnale tattile che si sente bene anche attraverso la suola delle scarpe.

Chissà se quel segnale, dando a Giampiero una sensazione più precisa del punto in cui finiva la banchina, avrebbe potuto salvarlo?

Rimane però non risolto un altro problema: quegli spazi tra i vagoni sono sempre lì, completamente aperti, senza nessuna protezione.

Circa 50 o 60 centimetri di vuoto: una larghezza sufficiente a permettere ad una persona di cadervi dentro. Specialmente se quello spazio viene scambiato per una porta, cosa non improbabile.

Non solo per chi è totalmente non vedente, come lo era Giampiero: credo che basti essere un po' deboli di vista per sbagliarsi. O forse anche con una vista perfetta un momento di distrazione o di sovrappensiero potrebbe bastare a provocare l'errore.

Bisognerebbe quindi applicare, tra un vagone e l'altro, qualche protezione flessibile che serva a chiudere quegli spazi. Ma quelle protezioni non ci sono.

La stessa situazione si presenta anche nella linea A della metropolitana di Roma, fatta eccezione per i treni di costruzione più recente in cui i vagoni sono intercomunicanti, per cui quegli spazi sono chiusi.

Anche nella metropolitana di Milano la situazione è la stessa: tra un vagone e l'altro c'è uno spazio aperto e non protetto, sufficiente a farci cadere una persona.

Quindi altri incidenti del genere potrebbero ancora succedere. Speriamo bene, e auguriamoci di non doverci ritrovare ancora una volta a piangere per un amico.

Io, per mio conto, quando mi capita di parlarne con giovani non vedenti, ho ripreso a cercare di incoraggiarli ad imparare a muoversi autonomamente per la città. Però non posso fare a meno di raccontare anche quell'episodio, che non potrò dimenticare.

Ritorno.